Il carattere del carattere

Quando la forma suggerisce qualcosa indipendentemente dal significato.

È la solita vecchia diatriba tra aspetto e contenuto. Il messaggio passa in secondo piano se l’aspetto ha un impatto troppo forte? Il contenuto si perde se la forma è troppo fiacca? Certo la forma non può sostituire la mancanza di contenuto, così come il miglior contenuto non può giustificare una forma sbagliata. Ma tra un estremo e l’altro ci sono mille sfumature, e la ricerca del punto di equilibrio è un po’ come la quadratura del cerchio.

La ricerca dell’equilibrio di volta in volta cambia, è sempre perfettibile. Il bilanciamento tra i vuoti e i pieni, tra il detto e il non detto. Togliere, togliere per tendere all’essenziale, ma senza mai arrivarci, perché qualcosa poi comunque serve, altrimenti tanto vale non dire niente e lasciare la pagina bianca. Così come gli allineamenti, che poi quelli giusti sono quelli sbagliati, perché è l’occhio che guarda e la percezione è tutto.

E allora quando dobbiamo dare una forma alle parole sulla carta stampata o sulla carta virtuale scegliamo un carattere tipografico.

È un po’ come il tono di voce che usiamo quando parliamo, il modo in cui moduliamo le parole, il volume, l’espressione del viso o i gesti che l’accompagnano, tutto contribuisce a dare un significato al nostro discorso, indipendentemente dalle parole che usiamo.

Per questo il nostro cane ci capisce quando gli parliamo: oltre le parole di cui sa il significato, interpreta il nostro tono, e reagisce di conseguenza.

Per lo stesso motivo siamo in difficoltà quando ci troviamo a parlare con qualcuno che usa sempre e solo un tono di voce neutro, magari senza accompagnare la parola con il benché minimo gesto. È come se mancasse il senso di quello che ascoltiamo, le parole diventano vuote, il significato sfugge, e il discorso si fa confuso.

Passando alla pagina stampata il font che viene usato e il modo in cui viene usato diventa il nostro tono, indispensabile se vogliamo farci capire.

Perché prima di leggere guardiamo, e guardando ci facciamo un’idea che influenzerà il nostro comportamento, la nostra reazione a quanto è scritto, indipendentemente dalle parole che sono state usate (sempre se arriveremo mai a leggerle). Dunque la scelta del carattere, diventa veramente importante.

Ecco perché quando ci troviamo a guardare una pagina dove vengono utilizzati magari 5 o 10 caratteri tipografici diversi, siamo istintivamente spiazzati. È come se il nostro interlocutore, per spiegarci che strada fare per arrivare ad un certo indirizzo, cambiasse tono di voce ad ogni parola, una sussurrata, una soave, una strillata, una ridendo, una piangendo una in tono formale, una strizzando l’occhio, e così via. Non so se seguiremmo mai le sue indicazioni, che invece magari erano proprio quelle giuste…Insomma è la perdita del significato senza guadagnare nulla nella forma.

Oppure può capitare di leggere parole scritte con caratteri completamente inappropriati, così come risulterebbe inappropriato ridere e ammiccare mentre si racconta di quanto sia affidabile un certo medico, oppure essere serissimi e formali mentre si invita qualcuno ad una festa in maschera.

Senza entrare nel campo del gusto, che è personale, il modo in cui disegniamo e organizziamo la pagina, è un po’ come l’abito che scegliamo di indossare, e che ci rappresenta agli occhi degli altri, in cui ci sentiamo a nostro agio se è in sintonia col nostro umore. 

E ogni carattere tipografico ha il suo carattere ed esprime nelle sue forme ciò che vogliamo o dobbiamo dire e in qualche misura anche come ci sentiamo e ciò che siamo.


Pagine e pagine

Certe pagine le disegno, con altre faccio un collage. Altre le rimetto a posto, buttando via quello che non serve più, o che in realtà non è mai servito, e riscoprendo così un po’ di bianco. Sì, perché il bianco non mi fa paura, così come il silenzio, così come perdere la linea di terra quando si va al largo.
Ma senza colori non potrei vivere, e ogni giorno ho un nuovo colore preferito.
Dicono che sono brava a schematizzare concetti anche complessi, a fare sintesi. Non sta a me giudicarlo, ma posso dire che davanti ad una pagina lavoro più per sottrazione che per addizione, e che nella vita mi piace ascoltare più che parlare, e mi piace guardare sempre tutto da un’altra prospettiva, la tua o la sua, dipende.
So anche che il dubbio mi guida come unica certezza, e che sono più liquida che solida. Non è facile da gestire, ma sto imparando a farci i conti e accettarlo con riconoscenza.

Poi ci sono le pagine che leggo, e che mi portano in infiniti altri mondi e dietro ad altri occhi. In alcuni mi riconosco, in altri sto molto scomoda, ma sempre imparo qualcosa. E la curiosità si alimenta da sé. Più stimoli ricevo, più pensieri metto in fila e più scopro che non ho ancora capito un bel niente…